Pd, l’avversario non è in casa

Se uno si guarda attorno capisce subito che il Pd non può scherzare con se stesso. La vergognosa rivolta delle Regioni dominate dalla Lega (Veneto e Lombardia, ma anche la Liguria di Toti) contro l’accoglienza degli immigrati – con l’assurda e crediamo incostituzionale minaccia di tagliare i trasferimenti ai Comuni che aiutano i profughi – è l’ulteriore dimostrazione del pericolo che viene da destra. La trazione leghista di quel fronte un tempo guidato da Silvio Berlusconi non fa presagire nulla di buono per il futuro del Paese. E un pezzo importante del Nord è nelle loro mani: zone decisive ormai finite nelle grinfie di chi pensa di fare la campagna elettorale permanente sulla paura.

Dunque, l’avversario del Pd non sta in casa. Ma è fuori. E’ quell’impasto che è stato definito fascio-leghismo: guerra agli immigrati, difesa della razza padana, antieuropeismo, egoismo sociale. Dall’altra parte, con le dovute differenze, il movimento Cinque Stelle cerca di capitalizzare il vento dell’antipolitica che soffia ancora prepotente sul Paese. Alimentato, non c’è dubbio, dalla corruzione dilagante e da Mafia Capitale.

Se il Pd vuole davvero avere una vocazione nazionale – lasciamo stare il Partito della Nazione che ha creato troppi equivoci – deve impedire che si ricompatti una destra di quella natura e allo stesso tempo che lieviti il consenso grillino che non porta da nessuna parte.

Ma per farlo c’è bisogno di tutti. E non parliamo solo dei gruppi dirigenti, di questa o quella corrente interna al Pd. Parliamo degli elettori, quei due milioni che dalle Europee del 2014 alle Regionali del 2015 hanno fatto un passo indietro e in gran parte sono andati a ingrossare le file del partito degli astensionisti. Basta guardare i dati della Toscana o dell’Umbria o delle Marche per capire le dimensioni dello smottamento.

La direzione del Pd di questo dovrebbe occuparsi. Senza rese dei conti, avvertimenti o schiaffi del soldato. Il tema è: come ritrovare, sugli interessi del Paese, una solida unità che dia slancio al partito e più forza a un governo che ha davanti passaggi molto stretti. Per mandare un messaggio a chi è rimasto a casa invece di andare al seggio: guarda che ci siamo, siamo anche con te, stiamo insieme per fermare quelli là e dare una prospettiva riformista all’Italia. Riuscire in questo intento è compito di Renzi, che è segretario e premier, ma anche della minoranza. L’alternativa sarebbe il peggio per gli italiani. L’unità, stavolta ancora di più, non è un optional…

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